Lockdown, distanziamento, smart working, coprifuoco, vaccini. Le parole che hanno caratterizzato maggiormente gli ultimi quindici mesi della nostra vita hanno avuto forti ripercussioni non solo dal punto di vista economico. La pandemia ha manifestato un impatto rilevante anche in termini di salute mentale, portando a un aumento sensibile di sofferenze psichiche e disturbi psichiatrici tra la popolazione. Di questo e di come prenderci cura del nostro benessere mentale abbiamo parlato con il dottor Marco Grazioli, psicologo e psicoterapeuta. Perché maggio, dal 1949 il mese della salute mentale per iniziativa della Mental Health America, oltre a essere il trampolino di lancio per la ripresa economica del nostro Paese, può diventare anche l’occasione per acquisire una maggiore consapevolezza sul nostro benessere a tutto tondo.

Dottor Grazioli, quali sono stati gli effetti del Covid-19 a livello di salute mentale?

Principalmente la pandemia ha “slatentizzato” alcune problematiche già esistenti. Alcune psiconevrosi, caratterizzate da sintomi psicologici, comportamentali e vegetativi, si sono manifestate con maggiore facilità, “legittimate” dalla precarietà del lavoro, dall’incombenza del virus e da una situazione nuova oggettivamente minacciosa. Stati d’ansia meno acuti si sono moltiplicati. Se consideriamo che, anche prima della pandemia, il 98% delle persone che si rivolgevano a uno psicologo lo facevano lamentando problematiche legate alle loro relazioni, la convivenza eccessivamente stretta a cui siamo stati forzati è stata un catalizzatore di situazioni di disagio.

Ciò ha portato a una maggiore richiesta di sostegno psicologico?

Sì, la domanda è cresciuta di circa il 30%. Gli stati ansiosi nella maggior parte dei casi hanno compromesso il benessere quotidiano degli individui in più maniere, minando le relazioni e la serenità delle persone anche a scapito delle loro performance al lavoro o a scuola. In alcuni casi hanno virato in stati depressivi.

Chi ha subìto maggiormente il lungo lockdown?

I giovani hanno sofferto la limitazione di movimento e socialità, ma hanno dimostrato una maggiore capacità di recupero rispetto alle persone di mezza età e agli anziani. Nelle scuole, però, ci sono stati anche casi in cui la didattica a distanza, che ha fatto sicuramente qualche “vittima”, si è rivelata uno strumento prezioso per gli alunni più fragili. Penso ad alcuni studenti con disabilità che hanno potuto continuare a frequentare in presenza in piccoli gruppi, beneficiando di questa situazione sotto il profilo motivazionale e sentendosi meno schiacciati rispetto alle dinamiche relazionali allargate delle classi. Ma in linea generali gli effetti negativi sono stati superiori a quelli positivi.

Perché il tema della salute mentale continua a essere un tabù difficile da affrontare?

Perché altri tipi di patologie, soprattutto quelle organiche evidenti, sono sempre state riconosciute, mentre le patologie e i disturbi di tipo mentale sono più subdoli e all’occhio esterno non sempre sono evidenti. Ciò, tra l’altro, causa un duplice disagio, in chi ne soffre e in chi vive accanto a persone che hanno bisogno di aiuto ma verso le quali ci si sente spesso impotenti.

Come è possibile rendere più semplice il chiedere aiuto?

Occorre puntare su forti campagne di sensibilizzazione per far conoscere a tutti la possibilità di rivolgersi a professionisti della psiche bypassando stereotipi consolidati. Offrire la possibilità a chi sente un disagio di accedere più agevolmente e con meno timore a un servizio di aiuto è fondamentale. Fortunatamente nel nostro territorio la maggior parte delle scuole, da alcuni anni, si sono dotate di servizi psicologici al proprio interno attraverso sportelli di ascolto o individuando, tra il loro personale, figure con competenze adeguate per il supporto a studenti e insegnanti. Questi servizi sono fruibili facilmente rispettando le esigenze di riservatezza che impongono questo tipo di richieste. L’accesso a un sostegno è dunque un po’ più fluido rispetto al passato.

Quest’anno il messaggio del mese della salute mentale è la riconnessione con la natura come fonte di benessere…

Ricollegarsi con l’ambiente naturale significa allargare la sfera d’intervento personale. Il fatto di essere stati chiusi in casa a lungo, sperimentando pratiche a cui non eravamo abituati come lo smart working, ha favorito lo sviluppo di nuove abitudini, ci siamo abituati eccessivamente allo stare in casa. Alcune persone già timorose nei confronti delle relazioni e del mondo esterno hanno trovato conforto tra le mura domestiche, ma il protrarsi di questa condizione può sviluppare abitudini e avere ripercussioni sulla psicologia individuale che sono da scongiurare. Occorre tornare a vivere gli spazi esterni, è un’esigenza che riguarda tutti.

Ci dica tre buone pratiche, tre esercizi che possiamo fare, per alimentare il nostro benessere mentale.

Prima di tutto, quando sentiamo un disagio, ricordiamoci che non siamo soli e che il nostro malessere può e deve essere condiviso perché ci sono soluzioni che possiamo fare nostre. La seconda buona pratica, quando avvertiamo che qualcosa non va, è cercare una persona di fiducia con cui poterci confidare: un familiare o un amico, magari inizialmente, prima ancora di un professionista che poi ci potrà aiutare in modo puntuale. Il terzo suggerimento è riprendere confidenza con il mondo esterno attraverso una vita all’aria aperta, il movimento fisico e una riconciliazione con la natura, che è fatta di tante cose buone e non solo del virus che ha occupato i nostri pensieri per così tanto tempo.

Tag: