Non solo Superbonus. La stretta del Governo su cessione del credito e sconto in fattura non riguarda solo gli interventi previsti nell’ambito del c.d. 110%, ma anche quei piccoli lavori di efficientamento energetico quali la sostituzione della caldaia o l’installazione di pompe di calore. Dal 17 febbraio, infatti, per poter effettuare tali interventi e beneficiare delle detrazioni del 50% o 65% occorre anticipare gli importi dei lavori e portarli poi in detrazione nella dichiarazione dei redditi.
Il decreto (n. 11 del 16 febbraio 2023) rappresenta senza dubbi un duro colpo al sistema di incentivazione per la riqualificazione energetica degli edifici. A pagarne il prezzo più alto sono proprio le famiglie meno abbienti che, senza poter accedere allo sconto in fattura, per sostituire la caldaia o il condizionatore dovranno anticipare l’intero importo dei lavori per poi detrarne la metà nei successivi 10 anni. Nei casi peggiori, ossia senza la necessaria liquidità o incapienza Irpef, si vedranno preclusa l’agevolazione, senza alternative. La soppressione di tale opzione incide negativamente anche sui pensionati che, con basso reddito e minor prospettiva di vita, hanno optato in questi anni per lo sconto immediato sul corrispettivo.
Non solo, è allarme anche per le micro e piccole imprese di installazione impianti che ben si erano organizzate, in affidamento alla legge dello Stato, per poter garantire al cliente lo sconto in fattura. “Ci siamo messi in gioco – afferma Pietro Renda, presidente di CNA Installazione e Impianti Forlì-Cesena – affrontando il caro materiali, eseguendo i lavori nel totale caos normativo, dialogando con le banche, ed oggi lo Stato calpesta le sue stesse leggi creando un danno inquantificabile”.
“Più che nel merito – prosegue Renda – è da condannare duramente il metodo. Imprese e cittadini, che hanno rispettato alla lettera una legge dello Stato, non hanno comunque la certezza di essere nel giusto. Lo sconto in fattura è stato inizialmente un duro colpo da digerire per le piccole imprese ma, senza commiserazione, ci siamo organizzati per rimanere attori di un mercato che stava evolvendo, dando risposta alle richieste dei nostri clienti.”
Che il sistema di incentivazione avesse creato anche distorsioni del mercato e problemi alle finanze pubbliche, è fuori dubbio. Tuttavia, un cambio di rotta senza concertazione e in maniera assolutamente brusca, oltre ad essere sconcertante, sposta i problemi su altri piani, senza risolverli. Le aziende e molti privati erano già in grande allarme, viste le grosse problematiche che si riscontravano nei mesi scorsi nel trovare banche o istituti finanziari disposti ad acquistare crediti derivanti da bonus edilizi per interventi in corso. A livello nazionale si stima che i crediti fiscali incagliati derivanti da bonus siano 15 miliardi, con circa 25.000 imprese a rischio fallimento.
“Il timore – conclude Renda – è che questa pietra tombale sul sistema dei bonus possa ulteriormente chiudere ogni possibilità. Oltre al danno economico al comparto casa, si concretizza il rischio che la frenata ai bonus faccia fare all’Italia dei passi indietro nello sviluppo delle energie rinnovabili. I bonus, infatti, hanno rappresentato e rappresentano la via economicamente più vantaggiosa per innalzare la classe energetica, installare impianti geotermici, pannelli fotovoltaici o sostituire la vecchia caldaia con una ad alta efficienza. Questi interventi, se non agevolati dallo Stato, sarebbero impossibili da realizzare per le famiglie a basso reddito.”
Un problema non di poco conto, che potrebbe generare perdita di posti di lavoro, chiusura di migliaia di imprese e acuire sempre più il livello di sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e della politica.