Una indagine di CNA tra le imprese associate evidenzia come, a causa dell’emergenza, il 53% ridurrà le ferie rispetto al 2019. Stop ad assunzioni ed investimenti per il 55% delle imprese. E per l’autunno dominano incertezza e preoccupazione: per il 95% dei 200 intervistati il sentiment è negativo

Bisognerà attendere il post ferie per conoscere quanto sarà pesante la crisi economica determinata dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria. Quella che si sta profilando, infatti, è un’onda lunga di cui ancora non si è in grado di valutare la portata. Che di certo non sarà positiva, come certificano i dati di un’indagine dell’Ufficio studi di CNA Forlì-Cesena che ha coinvolto 200 imprese della provincia, concentrate (per l’86%) nella fascia 1-15 addetti. Oltre il 50% rientra nei settori produzione e casa.

Un questionario iniziato con una veloce occhiata al pregresso vale a dire ai mesi scorsi, durante il quale il 65% delle imprese ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali.

LE FERIE. Per il 53% delle imprese lo stop forzato ha comunque determinato un accumulo di ordini che sarà smaltito riducendo il periodo di ferie rispetto all’anno scorso. Per il 35% le ferie rimarranno uguali al 2019, mentre per il 12% le ferie addirittura aumenteranno, per compensare una domanda evidentemente ancora inferiore alle attese.

Il 57% delle imprese, in ogni caso, osserverà la tradizionale chiusura agostana: una settimana per il 26%, due settimane per il 23% e tre/quattro settimane per il 13%.

Tra le imprese che esportano, il 57% farà meno ferie rispetto al 2019.

Tutto questo ha un forte impatto sulla disoccupazione: solo l’1,5% delle imprese ha dichiarato che effettuerà assunzioni a tempo determinato per affrontare il periodo estivo.

LE COMMESSE POST VACANZE. Un’incertezza alimentata dal pessimismo è, invece, quella che ritroviamo nelle previsioni per l’autunno. Soltanto il 4,6% le imprese prevede di avere ordinativi in crescita, il 18% quelle che pensano ad una certa stabilità delle commesse, il 17% quelle che non sono in grado di fare previsioni. Il pessimismo è rappresentato da quel 61% che parla di un autunno in calo, in forte calo per il un’azienda su tre (per il 4,6% con una riduzione di oltre il 50% degli ordini, 28% con un rosso del 25%).

LE CONSEGUENZE SUL LAVORO. Anche in questo caso le conseguenze sull’occupazione saranno concrete: il 13% degli intervistati dà per certo un ricorso alla cassa integrazione da settembre in poi, e una percentuale analoga lo ritiene probabile; il 28% non azzarda previsioni mentre il 46% non ricorrerà agli ammortizzatori.

STOP AD INVESTIMENTI ED ASSUNZIONI. Di certo c’è che, in conseguenza della crisi, il 55% delle aziende ha dichiarato di aver accantonato i progetti di investimento o di nuove assunzioni.

IL “SENTIMENT”.  I numeri visti sin qui anticipano l’elevato numero di risposte negative alla domanda finale dell’indagine: il grado di preoccupazione per le conseguenze di questa crisi. Ancora il 49% si dice molto preoccupato, il 46% abbastanza, mentre solo il 4% si dice ottimista. Come a dire che l’unica cosa certa è un clima poco incoraggiante.

COSA FARE.  “Prevedere le dinamiche dei prossimi mesi, di fronte a tante, troppe incognite è davvero difficile – commenta Lorenzo Zanotti, presidente di CNA Forlì-Cesena – l’impressione è che molte imprese stiano alla finestra in attesa degli eventi. E se questi fossero negativi, molte aziende, quelle finanziariamente più deboli o che hanno problemi di passaggi generazionali – potrebbero chiudere definitivamente. Per questo sono necessarie azioni che contribuiscano ad alimentare la liquidità delle imprese, a cominciare dalla cassa integrazione, che va alimentata migliorandone anche l’efficienza: è inaccettabile che a metà luglio in molti casi non siano ancora state erogate le provvidenze di marzo”.

Secondo CNA sono inoltre indispensabili azioni in grado di alimentare la spesa per i consumi (ad esempio, incentivi per la rottamazione di automobili ed elettrodomestici a bassa efficienza energetica) e, soprattutto, gli investimenti. L’Italia è uno dei Paesi a maggior tasso di risparmio, per questo gli incentivi ad interventi di ristrutturazione come il superbonus vanno nella giusta direzione, se i decreti attuativi li renderanno effettivamente fruibili a imprese e cittadini. Allo stesso modo, servono anche investimenti pubblici, compresi quelli di piccolo cabotaggio, da mettere in pratica coinvolgendo le imprese locali.

“Queste azioni – conclude Zanotti – possono innescare un volano importante, sul mercato interno, incentivando i consumi e gli investimenti delle imprese. In attesa di quegli interventi strutturali – la riforma del fisco e la sburocratizzazione – i cui ritardi hanno amplificato le conseguenze dell’emergenza sanitaria. Ora più che mai, il fattore tempo è fondamentale: le imprese non possono aspettare”.