E’ quanto emerge dal rapporto realizzato da Cer (Centro Europa ricerche) e Cupla (Comitato unitario pensionati lavoro autonomo) sul potere d’acquisto delle pensioni, falcidiate dall’aumento delle addizionali locali e dal "mancato recupero del drenaggio fiscale"
Le condizioni di disagio sociale e impoverimento dei pensionati negli ultimi anni si stanno sempre più aggravando a causa della pressione fiscale e dell’insufficiente adeguamento delle pensioni al costo della vita. L’aumento delle addizionali locali e il mancato recupero del drenaggio fiscale hanno ridotto il potere di acquisto soprattutto per i 7,4 milioni di pensionati, il 44% del totale, che vivono in semipovertà con una pensione inferiore a 1.000 euro lordi mensili.
L’impoverimento dei pensionati – sostiene Paola Fava – segretario CNA Pensionati -è anche legato alle mutate regole di indicizzazione delle pensioni dopo la riforma Dini (1995) e non solo all’ effetto del crescente peso del fisco.
Il meccanismo di adeguamento annuale del valore delle pensioni all’inflazione non ha protetto né le pensioni di importo basso, né quelle di importo medio e alto. L’area del disagio cresce innanzitutto tra i pensionati più poveri, per il solo effetto del prelievo fiscale, le pensioni più basse hanno subìto una perdita del potere d’acquisto del 4%. Inoltre, le pensioni più povere si collocano oggi oltre tre punti percentuali al di sotto della soglia di povertà assoluta. Un divario determinatosi interamente negli ultimi dieci anni. Le pensioni al di sopra dei 1.500 euro non godono più di un recupero pieno dell’inflazione. La perdita che ne consegue rispetto all’andamento dei prezzi al consumo è consistente, risultando compresa fra il 2 e il 7%.
Il ridimensionamento del potere d’acquisto è stato particolarmente pronunciato nel 2010-2013, ossia nel pieno della crisi economica. In futuro, le misure introdotte con la legge finanziaria 2014 accentueranno ulteriormente la perdita di valore delle pensioni. A fronte di tale situazione, le soluzioni che il CUPLA ha avanzato al Governo, a nome degli oltre cinque milioni di pensionati rappresentati, sono chiare e della massima urgenza.
In primo luogo la proposta di adeguare gradualmente i trattamenti minimi di pensione al 40% del reddito medio nazionale, cioè da 500 a 650 euro mensili come ci chiede, del resto, la carta sociale europea.
Per difendere le pensioni, soprattutto quelle più basse, maggiore attenzione deve essere inoltre prestata al meccanismo di indicizzazione. L’aumento di costo dei servizi sanitari, delle case di cura, delle spese di accesso al servizio sanitario nazionale colpiscono i pensionati in misura maggiore che non il resto della popolazione. Queste voci dovrebbero trovare un maggiore riconoscimento nel sistema di adeguamento delle pensioni. La riduzione del cuneo fiscale prevista per i soli lavoratori dipendenti con retribuzione mensile fino a 1.500 euro, che hanno recuperato 80 euro mensili, deve essere estesa anche ai pensionati a partire dalle fasce più basse di reddito.
Come CNA Pensionati – prosegue Paola Fava – limitare l’intervento ai soli lavoratori dipendenti è una misura ingiusta e non in linea con l’obiettivo dichiarato dall’Esecutivo di sostegno sociale e di rilancio dei consumi. Peraltro ciò allargherebbe la forbice già esistente tra lavoratori e pensionati sulla quota di reddito esentata da tassazione (no tax area). Infine CNA Pensionati – chiede a Governo e Amministrazioni locali di prevedere detrazioni ai fini del pagamento della Tasi per gli anziani che abitano soli nella casa di proprietà ed hanno redditi al di sotto del doppio del trattamento minimo (13.000 euro) se singoli o del triplo del trattamento minimo (19.500 euro) se in coppia, e di escludere dall’imposta gli anziani non autosufficienti o ricoverati in case di riposo.
Paola Fava
Segretario CNA Pensionati