Il settore calzaturiero italiano è uno dei più rappresentativi del Made in Italy, è infatti il secondo al mondo per esportazioni, perché nella crisi mondiale di questi anni solo i prodotti di alta e altissima gamma hanno tenuto le posizioni di mercato. Dopo aver attraversato una profonda crisi nel 2009/2010, i produttori italiani sono stati progressivamente in grado di reagire ed il 2013 si è chiuso con piccoli segnali di ripresa. I distretti sono la dimensione tipica di questo settore: in 17 province italiane sono concentrati l’80% delle aziende, una dimensione che garantisce flessibilità produttiva, efficienza, innovazione di prodotto.
Per analizzare la realtà del distretto calzaturiero di San Mauro Pascoli, l’Ufficio studi di CNA Forlì-Cesena ha realizzato un’indagine, che è stata presentata martedì 24 giugno a Savignano sul Rubicone, in una conferenza stampa a cui hanno partecipato Franco Napolitano, direttore generale di CNA Forlì-Cesena; Roberta Alessandri e Danila Padovani, rispettivamente presidente e responsabile di CNA Federmoda Forlì-Cesena. L’indagine ha coinvolto un campione significativo di aziende (30 interviste), pari al 42% del totale di quelle aderenti all’Associazione. Le imprese intervistate rappresentano l’azienda “tipo” del distretto sanmaurese.
In totale le aziende del distretto sono 170 con un numero di addetti pari a 2.797 unità (dati registro Imprese CCIAA). La media di addetti per azienda è 16,4%, si tratta perciò di aziende artigiane e pmi. I fatturati si attestano tra i 100.000 e il milione di euro, e si tratta di imprese che operano, in maggioranza, come subfornitori di primo o secondo livello.
La crisi ha evidenziato la fragilità delle aziende più piccole, la maggioranza di quelle che realizzano prodotto finito e la quasi totalità di quelle che producono componenti, anelli deboli della filiera ma allo stesso tempo detentori di competenze artigianali fondamentali al mantenimento della qualità che connota le produzioni italiane.
Ne esce un quadro che, pur con diverse aree di criticità, evidenzia anche elementi rivelatori di processi che vanno verso il consolidamento della struttura distrettuale. Servono, però, politiche che incentivino la crescita dimensionale, forme di collaborazione tra le aziende attraverso accordi di filiera e contratti di rete.
Sebbene siano fondamentali per realizzare un prodotto che viene venduto in prevalenza all’estero, quale la calzatura da donna di altissima gamma, queste imprese esportano direttamente solo nell’11% dei casi. Il 61%, infatti, produce prevalentemente per i grandi marchi del distretto. Inoltre, circa il 39% delle imprese vende tra il 31 ed il 100% della propria produzione sul mercato nazionale, indirizzandosi in particolar modo nelle regioni Marche, Veneto e Toscana, ossia dove sono presenti gli altri principali distretti pellettieri italiani. Tutti elementi che dimostrano l’alta specializzazione delle lavorazioni e il contenuto tecnologico all’avanguardia che le nostre imprese sono in grado di esprimere.
Quali sono, nel 2014, le prospettive per il distretto? Il dato che emerge evidenzia una stagnazione della produzione: quasi il 40% delle imprese prevede per l’anno in corso un andamento stazionario, rispetto a un 2013 che non ha certamente brillato in termini di crescita. La maggior parte delle ditte riesce, comunque, a mantenere il proprio mercato e si trova in una situazione “conservativa” dell’esistente.
Dalle interviste qualitative svolte presso la sede aziendale, emerge la crescente difficoltà nel fare programmi di medio periodo, le commesse hanno durata sempre più breve, a volte perfino giornaliera. Nella maggior parte dei casi non esistono contratti di fornitura che garantiscano importi e quantità minime: “è molto difficile fare previsioni sul 2014: il lavoro è stagionale, e c’è sempre meno programmazione…” e poi: “non si riescono a fare previsioni precise né sul fatturato né sull’utilizzo degli ammortizzatori sociali. So qual è la mia prospettiva fino a settembre, poi non le so dire cosa sarà di noi”.
A queste condizioni, diventa impossibile determinare il portafoglio ordini. E tanto meno programmare degli investimenti. Ben il 78% delle imprese intervistate, infatti, dichiara di non aver effettuato nessun tipo di investimento nel 2013 per incertezza rispetto alle condizioni di mercato, e solo 1 impresa su 5 ha sostenuto piccoli investimenti in impianti e macchinari: “si fanno pochi investimenti perché c’è poca disponibilità delle banche… in questo momento dobbiamo lottare per mantenere l’esistente”.
Dati molto significativi emergono anche sulla politica dei prezzi: il 50% degli imprenditori ha mantenuto negli ultimi anni prezzi stazionari, e il 17% li ha addirittura diminuiti fino ad un -5%. Prezzi bloccati o in calo e produzione stazionaria: una situazione che determina perdita di redditività per le aziende. Col costo del lavoro e i costi generali in costante crescita, la diminuzione del prezzo delle lavorazioni, imposta da una concorrenza schiacciante, deprime forzatamente i bilanci aziendali: “non riusciamo più a fare politiche di prezzo perché le tariffe ci vengono imposte dai nostri committenti, così come i tempi di produzione”. Impressionante il confronto con gli ultimi anni: “i ricavi sono sempre meno, anche perché i prezzi sono invariati da 3-4 anni”.
Pur di mantenere i propri committenti, le imprese sono disposte ad applicare prezzi fuori mercato. Ma non è finita qui. Il 56% degli imprenditori denuncia fenomeni di concorrenza sleale: imprese a titolarità straniera, che non rispettano le regole, in particolare per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro: “molto lavoro viene realizzato all’estero (per esempio in Romania). Alle aziende locali rimangono i modelli , per i quali vengono richieste solo poche paia di scarpe e spesso devono rifare ciò che torna sbagliato dall’estero. La concorrenza non viene fatta solo dalle aziende cinesi, ma anche da aziende di altre zone”. Una piaga che riguarda le lavorazioni a elevato utilizzo di manodopera e basso impiego di macchinari, quali orlatura, sformatura, coloratura e fasciatura tacchi. Alle imprese storicamente insediate nel distretto vengono demandate le lavorazioni più complesse, oltre a quelle che necessitano di macchinari tecnologicamente avanzati. Come si è già visto in altri contesti: “alle aziende italiane rimane la fascia di lavoro più complicata ed elaborata, il resto viene dato ai cinesi”.
Ma, così facendo, si rischia di perdere quello che è il valore complessivo del distretto, che unisce e mette in rete saperi artigiani e innovazione, in un mix del tutto unico e irripetibile. Che dà vita a creazioni possibili solo qui: “la nostra forza è la grande qualità, associata alla possibilità di eseguire le lavorazioni più difficili, anche per piccole quantità”.
È fondamentale mantenere un habitat così creativo e prezioso. Per farlo è necessario affermare il valore della legalità e di una competizione sana e leale tra imprese. Solo così si potrà promuovere un armonico sviluppo economico e sociale, migliorando le condizioni di vita dei cittadini.
Proprio in questa direzione il Comune di Savignano, su sollecitazione di CNA, ha sottoscritto un accordo con l’Agenzia regionale delle Entrate per raccogliere segnalazioni di attività economiche illegali, e utilizzare le somme recuperate a favore delle imprese locali che operano nella legalità. Ora CNA si fa promotrice affinché tale protocollo sia recepito anche dalla nuova Amministrazione comunale di San Mauro Pascoli, a cui CNA chiederà un incontro per ribadire le proprie proposte ed esortarla a svolgere un ruolo proattivo per preservare, sostenere e sviluppare il distretto calzaturiero del Rubicone.