È arrivato il momento di voltare pagina. E di cambiare le priorità. La politica non può più mettere soldi in mega lavori pubblici per combattere la crisi? Allora cambi registro: infonda coraggio, ponga obiettivi, disegni piani, scriva regole nuove. Dobbiamo permettere alle tante intelligenze di cui dispone l’Italia di mettersi concretamente al servizio del paese.
Ma tutto ciò serve oggi, non tra dieci anni. Ci viene detto ogni giorno che il peggio è passato: purtroppo ancora non si vede. E non si vede niente dopo che questa crisi ci ha portato via dieci punti di Pil e un quarto della produzione industriale. Come una guerra persa.
Ora chiediamo ai grandi decisori una terapia d’urto. La politica si deve assumere le sue responsabilità, perché – come ha detto il premio Nobel per l’Economia Ronald Coase – un’economia di mercato non può avere successo nel vuoto istituzionale.
Ci siamo mai chiesti perché l’euro vale il 30% più del dollaro, indebolendo così l’export e facendo schizzare le importazioni dell’Eurozona? Perché alle spalle del dollaro c’è una vera superpotenza. Alla nostra Europa serve più politica. Quella politica che può permetterle di rilanciarne il ruolo anche economico nel mondo. Soprattutto serve meno finanza e più economia reale.
Incrementare il Pil è prioritario. Ma la ripresa passa unicamente per le imprese. Da qui la necessità di regole nuove che favoriscano le imprese, e quelle piccole in particolare, nel loro ruolo sociale di creare occupazione e ricchezza diffusa.
E invece le imprese oggi si trovano ad avere ulteriori aggravi burocratici, prendiamo ad esempio il Sistri, un modello per la gestione dei rifiuti costoso, inefficace e vessatorio. Altro esempio la fiscalità: un misto di tributi e contributi che sfiora il 70% non è sopportabile per nessun imprenditore. E la tendenza, anziché diminuire l’imposizione fiscale è quella di aumentarla. Da ultimo, con l’Imu sugli immobili strumentali, che soprattutto per le piccole imprese sono indispensabili al lavoro. Costa alle aziende 9 miliardi. Per le imprese l’abolizione di questa imposta è inderogabile.
Allora ci chiediamo: perché, anziché scaricare tutto sulle imprese, non si interviene ad esempio sulle migliaia di società controllate dagli enti locali, che s’interessano di tutto e di più, con consigli di amministrazione, auto blu, dipendenti spesso utilizzati poco e male, bilanci tantissime volte in rosso?
Ma la politica non deve pensare solo ai tagli. Tra giugno 2012 e lo stesso mese del 2013 in Italia i depositi bancari di intermediari finanziari, famiglie e imprese sono cresciuti di 100 miliardi. Vuol dire che, anche chi può, non spende né investe. I grandi decisori devono perciò mettere in campo progetti importanti ai quali possa partecipare l’intera filiera produttiva. Lo stanno facendo altri paesi, mettendo a punto veri e propri “piani di battaglia”, finalizzati ai grandi progetti industriali per i prossimi dieci anni progettati dai governi centrali. L’Italia non può essere da meno. Non c’è più tempo.
Franco Napolitano
Direttore generale CNA Forlì-Cesena