I dati recentemente diffusi da CCIAA sull’economia provinciale dipingono uno scenario eterogeneo: positivi i dati sull’occupazione, in ripresa nel nostro territorio più che altrove, meno brillanti quelli sulle imprese attive, in moderata diminuzione. Il calo delle imprese è dovuto più alla flessione delle iscrizioni che all’aumento della mortalità. La diminuzione dell’aggregato delle imprese artigiane, -1,8% nell’ultimo anno, non rende però giustizia a un settore che in alcuni ambiti produttivi sta attraversando una crisi profonda. Tra il 2008 e il 2015 in provincia si sono perse il 12,7% delle imprese attive, senza considerare che il saldo imprese, ovviamente, non tiene conto degli aspetti qualitativi delle aziende: una impresa storica, magari con tanti dipendenti, può essere sostituita da una attività individuale più o meno improvvisata, senza che la statistica registri alcun movimento. Il forlivese si allinea ai dati provinciali, ma un’analisi più approfondita sullo stato di salute del suo tessuto economico può aiutare a comprendere meglio il presente e a fare piani per il futuro. Edilizia ed autotrasporto stanno vivendo nel forlivese una crisi strutturale ben più profonda rispetto al resto del paese: volumi d’affari ed occupazione in calo, domanda stagnante e chiusure eccellenti sono stati i motivi ricorrenti del 2015. Da inizio crisi ad oggi le imprese attive in questi due settori sono diminuite di ben 1.350 unità; nel solo ambito dell’autotrasporto si sono perse il 24% delle aziende artigiane. Anche la riduzione del credito, vitale in questi settori, ha contribuito ad aggravare una situazione che al momento non pare avere, nel breve, sviluppi positivi.

La tenue ripresa dei volumi nel manifatturiero, che CCIAA calcola solo sulle imprese con più di 10 addetti, non fotografa in modo fedele lo stato delle imprese artigiane legate al mondo della produzione. Ai consueti problemi di liquidità dovuti ad un più difficile ricorso al credito, all’elevata pressione fiscale, legata in modo particolare alla tassazione sugli immobili e alla Tari, si aggiunge in molti casi un rapporto sempre più difficile, con i grandi committenti. Sì, perché sul totale delle piccole imprese dedite alla manifattura, nell’area forlivese incide in modo preponderante la filiera della subfornitura. Sono numerose le aziende che lavorano non con “marchio proprio”, ma in conto lavorazione per imprese più strutturate.  Spesso il piccolo artigiano lavora per un unico grande committente, a volte per due o tre, molto raramente propone sul mercato un proprio prodotto. In parte dei casi il rapporto committente-subfornitore si fonda sul riconoscimento reciproco di professionalità e competenze, dando vita ad una filiera virtuosa basata sul concetto di valore aggiunto. Sono però tante le situazioni in cui, nelle filiere a bassa marginalità il rapporto di forza sbilanciato, spesso tra grandi gruppi italiani o stranieri, e piccole aziende artigiane, genera relazioni commerciali risicate, che riducono in modo evidente la redditività di queste piccole imprese. Senza redditività l’impresa non investe, perché non può farlo. La mancanza di margini, poi, spinge interi settori alla ricerca di affannose riduzioni sul fronte dei costi, fino ai confini, a volte oltre, della legalità.

Essere imprenditori è uno status complesso; nell’immaginario collettivo l’imprenditore è colui che opera quotidianamente delle scelte: non tutti possono scegliere, anzi. A volte le scelte che vengono fatte altrove, dai grandi gruppi committenti, sono sentenze, per i piccoli contoterzisti. Dobbiamo tutelare questo patrimonio, questo infinito giacimento di “saper fare”, custodito nelle nostre piccole imprese. I nostri artigiani e le nostre maestranze, in alcuni settori, pensiamo alla nautica o al mobile imbottito, sono un vanto per Forlì, una ricchezza che altri territori ci invidiano. È compito di tutti, delle associazioni di categoria in primis, ma anche di istituzioni e banche tutelare questo patrimonio. Ogni artigiano che chiude i battenti della propria impresa è un cliente in meno per la banca, ma anche un potenziale problema in più da risolvere per i servizi sociali, con i fondi di sostegno al reddito o all’affitto. Un tessuto economico povero soprattutto di “valore” non è attrattivo e impoverisce il territorio stesso. Ci vuole una presa di coscienza vera, fedele alla realtà dell’imprenditoria del nostro territorio.

Stiamo avviando una riflessione profonda con l’Amministrazione Comunale, proprio sulle problematiche del nostro tessuto imprenditoriale, fatto di gente che lavora. Ci auguriamo che il nostro impegno sia volano di cambiamento non solo economico, ma anche culturale ed etico.

Monica Sartini, presidente CNA Forlì città