Sette  anni di crisi  hanno inciso negativamente,  in  molte regioni, e non solo in quelle meridionali,  ma – si citano – anche Liguria e Lazio,  ritenute più benestanti,  dove aumenta   fra la popolazione il rischio di esclusione sociale e disagio economico. A rilevarlo è una ricerca condotta dal Centro studi di CNA.  E sempre più  grave è  lo slittamento verso il basso delle grandi città del Sud.

Negli ultimi anni la popolazione anziana,  ben sappiamo, ha attutito l'impatto della crisi sui figli. L’impoverimento dei giovani ha riattivato il meccanismo, mai interamente interrotto, di trasferimenti di risorse (economiche e non) tra genitori e figli. Trasferimenti infra-famigliari hanno in  parte riequilibrato  le disparità intergenerazionali. Ma quando sono gli anziani ad aver bisogno di assistenza il  problema si ripropone nella sua interezza e le famiglie che prima erano beneficiarie di aiuti e cura, corrono il rischio di trovarsi nella condizione opposta.

Da un recente rapporto realizzato dal CER (Centro Europa Ricerche) e dal CUPLA (Comitato Unitario dei Pensionati del Lavoro Autonomo), di cui CNA Pensionati è parte e nel quale  svolge un costante  ruolo attivo, emerge che molti anziani si stanno impoverendo e, quando necessitano di assistenza, le finanze familiari sono messe a dura prova. Si aggiunge, poi, che la non autosufficienza in età anziana rappresenta in Italia un problema molto importante ed è purtroppo affrontato con strumenti inefficienti.
Crescono in Italia gli anziani che vivono in condizioni di semipovertà, il 44% dei pensionati, cioè 7,4 milioni di persone vivono  con un assegno pensionistico inferiore a 1.000 euro lordi mensili. Un dato nazionale che si conferma, tra i nostri soci,  anche a livello locale.  Su oltre 6.800 soci  aderenti a CNA Pensionati, 1.085  sono al disotto del minimo di pensione, percependo un importo inferiore ai 500 euro. Tra  questi, la maggioranza – 754 – sono donne. Compresi tra i 501 e 1.002 euro si trovano quasi 1.897 pensionati, per l’esattezza 1.049 sono donne e 848 uomini.

Poco più di 1.645  hanno importi pensionistici compresi tra €1.002 e 1.503 con una netta prevalenza di uomini – 1.293 – rispetto al genere femminile 353.
I numeri calano drasticamente al crescere degli importi. Solo ensionati si attestano tra i 1503 e 2.004,  tra i 2.004 e 2505, solo 221 e oltre i 2.505 solo 185 soci. In tutti i casi le percentuali maschili sono nettamente superiori alle femminili.
Se 1.000 euro lorde sono, in ogni caso, sicuramente poche, l’aumento delle addizionali locali e il mancato recupero del drenaggio fiscale ne hanno ancor più inficiato il potere di acquisto. Una perdita certo non imputabile al solo fisco, ma anche al meccanismo di adeguamento annuale del valore delle pensioni all’inflazione, che non ha certo protetto le prestazioni previdenziali, all’aumento dei costi sul fronte sociale – assistenza domiciliare, badanti, rette in centri diurni e case protette, spese di accesso al servizio sanitario,  spese farmaceutiche…  
Tuttavia oggi, la forbice tra pensionati e lavoratori si è ulteriormente allargata per la riduzione del cuneo fiscale riservato ai soli  dipendenti che su una retribuzione mensile fino a 1.500 euro ne recuperano 80, quota che come CNA  chiedevamo fosse data anche ai pensionati e  che, nonostante le più azioni messe in campo,  non è stata ricompresa  nella legge di stabilità.
In una situazione di così forte ed evidente disagio, crediamo sia, poi, quantomeno inspiegabile come in questo Paese non sia ancora possibile né dedursi, né detrarsi le spese alberghiere sostenute da anziani ricoverati in struttura residenziale, spese pesantissime, quelle delle rette,  affrontate per necessità inderogabili, a cui tutti, potendo, faremmo volentieri a meno.
Unica nota positiva, da quest’anno la parte alberghiera delle rette per le strutture residenziali sarà considerata ai fini del calcolo ISEE, l’Indicatore delle Situazione Economica utile per l’accesso ai servizi sociali.

Paola Fava
Segretario CNA Pensionati